OCCHIO AI MEDIA

Sanchez, «Pocahontas» e gli altri

09 Maggio 2009

La caporale: «A Cuneo una signora mi ha chiamata 'la negretta' degli alpini» ROMA - Indossano il fez da bersagliere, la penna degli alpini, il basco amaranto dei parà. Uno ha la pel­le nera, un altro lineamenti orienta­li, la giovane caporale uno splendi­do profilo sudamericano. Alcuni so­no veterani di missioni all'estero. Escono in coppia, in squadra, in plo­tone. Ma li si può trovare anche nel­le città, incaricati della sorveglianza di caserme o ambasciate, e in queste ore in Abruzzo, impegnati nel soc­corso ai terremotati. Sono i «nuovi italiani» con le stellette. Un «reggi­mento» in aumento: figli di immi­grati di seconda generazione, ex bambini «multicolori» nati da cop­pie miste, oppure ragazzini adottati negli anni '70 e '80 e poi cresciuti nelle nostre scuole, fino al momen­to della scelta di servire e onorare la Patria. La loro Patria adottiva. Eccola, la brigata multietnica del­­l'Esercito: stamattina sette di loro, in rappresentanza dei circa 1.500 mi­litari di cittadinanza italiana e origi­ne straniera, faranno il loro esordio in una parata ufficiale. Saranno in tribuna d'onore per celebrare l'avve­nuta «piena e felice integrazione». È stato il capo di Stato Maggiore, gene­rale Fabrizio Castagnetti, a scegliere una giornata solenne come quella di oggi, 148˚ anniversario della fonda­zione dell'Esercito italiano, per dare il suo suggello: alle 10.30, nel corso della cerimonia presso la caserma «Gandin» alla presenza del capo del­lo Stato, l'alto ufficiale oltre a ringra­ziare tutti i suoi soldati per la loro «professionalità, dedizione e umani­tà» dedicherà un saluto proprio a lo­ro, i militari di origine straniera. E la consacrazione avverrà in un modo particolare, chiamandoli uno alla volta, per nome: prima i più alti in grado - i caporalmaggiori Luis Pau­dice, originario del Brasile, Murthi Sello (India) e Gailson Silva Lopes (Capoverde), poi l'alpina Vivian Peña (Colombia), e infine i caporali Harol Alfonso Corrales Medina (Co­lombia), Walter De Luca (Filippine) e l'artigliere Monica Mary Sighel, se­conda donna del gruppo, nata in Sri Lanka. Gongola uno degli ufficiali che ha organizzato l'evento: «Noi dell'Eser­cito siamo fatti così: a 40 gradi al­l'ombra e zaino in spalle, ciò che conta è la capacità, lavorare gomito a gomito e coprire le spalle al compa­gno. Non abbiamo pregiudizi né dif­ficoltà di integrazione. E le storie di questi ragazzi lo dimostrano». C'è ad esempio il sorriso e l'ener­gia del caporalmaggiore Vivian Peña, soprannominata dai colleghi «Pocahontas», che dalla Colombia dove nacque 24 anni fa ha già ri­schiato la vita sotto le nostre inse­gne per tre volte, nelle due missioni svolte in Afghanistan e una in Koso­vo. «All'estero nessun problema con i colleghi. Mai. Però una volta, sfilan­do a Cuneo con il mio battaglione, una signora esclamò: 'Toh, c'è una negretta tra gli alpini!'». Gailson Sil­va Lopes, originario di Capoverde e accento romanesco, è il basco ama­ranto che ride accanto a due suoi col­leghi davanti al temibile «Centau­ro», il blindo pesante di cavalleria. «Di discriminazioni razziali - giura - non ne ho mai subite». Cresciuto a Gallicano, paesino in provincia di Roma, adesso semmai lo prendono in giro per la divisa da parà della Fol­gore quando gira per le strade di Pi­sa. Walter De Luca è il basco nero al centro della foto: padre italiano e madre filippina. Si conobbero e inna­morarono durante una vacanza 21 anni fa e ora loro figlio, VFP1 in fan­teria, è in ferma di un anno presso la Scuola sottufficiali di Viterbo e so­gna di diventare effettivo. E c'è anche chi ha fatto carriera: il capitano Edmondo Tito, 37 anni, sposato con un'informatrice farma­ceutica abruzzese e padre di due bimbi, è nato in Senegal. «I miei ge­nitori naturali non li ho mai cono­sciuti ». Fu abbandonato a sette gior­ni in un orfanotrofio e adottato a 10 mesi da una coppia romana, papà pi­lota Alitalia e mamma casalinga. «Vi­vo in Italia da 37 anni - scherza gio­cando sui colori - e prima ero una mosca bianca: alle elementari, alle medie, al liceo scientifico Cannizza­ro dell'Eur, sono sempre stato l'uni­co nero. Poi la società e cambiata e l'Esercito ha rispecchiato, persino in meglio, questa crescita. Non potreb­be essere diversamente: noi abbia­mo una vocazione internazionale, nelle mie missioni in Bosnia, Koso­vo, Libano e Afghanistan ho fatto esperienze indimenticabili». Il capitano Tito si è laureato in Scienze politiche alla «Sapienza» e oggi lavora nell'Ufficio Informazio­ne dello Stato Maggiore: «Potrà sem­brare strano, ma tra militari abbia­mo una mentalità più aperta - rac­conta -. Se un'idea buona viene a un caporale, vale lo stesso. Sarà per­ché in maggioranza siamo giovani, abituati a conoscere altri popoli, ad andare in vacanza all'estero». È fuo­ri dalla caserma, semmai, che al capi­tano Tito qualcuno non manca di ri­cordare le sue origini: «Per esempio quando vado al ristorante, qui a Ro­ma: spesso capita che a mia moglie il cameriere dia del 'lei' mentre a me del 'tu'. Oppure quella volta che, non ancora sposato, prestavo servizio a Perugia e con un collega ci presentammo da una signora per chiedere una stanza in affitto: a lui la diedero, a me no». Fabrizio Peronaci

Corriere della sera
7 maggio 2009
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