OCCHIO AI MEDIA

Una riflessione lucida sull'uso delle immagini e sulla nostra capacità di empatia

07 Settembre 2015

Credo che la selezione delle notizie in base al fatto che ci siano immagini a documentarle stia spingendo, alla lunga, a una corsa in cui la barra etica si abbassa di molto e il livello di manipolazione emotiva del pubblico si alza. E’ triste sapere che il discorso informativo cambierebbe se avessimo le immagini di quasi 3.000 persone in pochi mesi che annegano e soffocano sott’acqua nel Mediterraneo. [...] mi stupisce e mi angoscia che il suo muto invisibile morire senza nomi sia una delle ragioni per cui non viene affrontato politicamente come si deve e non crea un orrore empatico insopportabile. [...] Solo poche ore prima, i click sulle foto delle bare in attesa delle navi in Sicilia, bare grandi poco più che scatole di scarpe, non sono stati messi. Non erano abbastanza strazianti? Non si tratta di benaltrismo: mi sto davvero chiedendo perché i primi Aylan uccisi — avvolti con amore nei lenzuoli bianchi e messi in fila, a decine! — a Dara’a e a Homs, quattro anni fa, molto prima che poteste dare la colpa all’ISIS e i loro genitori si mettessero in cammino fin qui, non vi hanno mai convinto fino in fondo. Perché sui 71 morti soffocati nel camion in Austria non vi ho visto poi così scandalizzati. Perché le fotografie dei bambini fatti a pezzi dai raid a Gaza non diventano virali, né quelle dei bambini col tifo sotto due varietà di bombe in Yemen, di cui molte italiane. Perché hanno addosso il peso del conflitto, ecco perché — il peso della partigianeria, dello scontro, della complessità, di faccende mica facili da sbrogliare.

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