OCCHIO AI MEDIA

I nove del ragazzo con la pagella


Paternalismo nella stampa

Questo articolo apparso su la Repubblica il 27 ottobre scorso avrebbe potuto raccontare una storia esemplare di accoglienza ed inclusione grazie alla garanzia di dirittti ed opportunità. Invece viene costruita una narrazione caratterizzata da superficialità e luoghi comuni e da cui traspare una cultura ancora intrisa di paternalismo, all’insegna di concetti quali il merito, la gratitudine e, ovviamente, la negazione di fenomeni di discriminazione ed esclusione nella nostra società.  

L’arrivo in Italia, dopo le sofferenze difficilmente immaginabili di un viaggio durato 8 anni in cui il ragazzo, allora bambino, perde anche la madre, viene descritto come “un bel salto”, l’approdo ad “una vita che non osava nemmeno sognare”.

L’articolo narra la storia di un ragazzo sicuramente eccezionale. La retorica sottostante è quella dello straniero che ce la fa perché è bravo e meritevole. La retorica del merito nasconde tuttavia diverse insidie. Ad esempio presuppone che qualcuno, solitamente in una posizione di presunta superiorità, debba giudicare la meritevolezza . Un’ulteriore conseguenza potrebbe essere poi il pensiero distorto che lo straniero debba “guadagnarsi” duramente ciò che per gli altri è invece normalmente acquisito o scontato, anche quando si tratta di diritti, come il diritto allo studio, ad una casa, alla propria sicurezza ed incolumità, alla salute.

L’immagine che l’articolo sembra voler promuovere è poi quella dello straniero grato per le opportunità ricevute. Le opportunità e i diritti non sono quindi rappresentati come qualcosa che debba essere garantito, ma vengono “concessi” da qualcun altro, in base ad un giudizio di merito o magari per magnanimità. 

La stessa narrazione porta poi alla conclusione, quasi “ovvia” a questo punto, che lo straniero meritevole, non sia soggetto a discriminazione o esclusione. Quindi ne dovremmo dedurre che il razzismo, lo stigma, la discriminazione non esisterebbero nella nostra società e sarebbero solo la percezione di chi non si impegna abbastanza o non è capace, per giustificare il proprio fallimento? Quindi anche i diritti umani e l’uguaglianza non costituiscono qualcosa che è garantito, ma che bisogna guadagnarsi e meritarsi?

L’articolo si conclude con cenni su presunti aspetti culturali relativi alla provenienza di Turky, menzionati frettolosamente. Ma si lascia intendere che non sia poi importante approfondirli, perché sono comunque rappresentati come inadeguati; viene infatti subito sottolineato come siano stati corretti e sostituiti dalle regole vigenti nella società che accoglie. 

Quella di Turky è una storia eccezionale che fa sperare in un modello esemplare di accoglienza, che continui a garantirgli le opportunità per realizzare i suoi desideri e le sue aspirazioni. Ci si augura però che pure tutte le altre storie di vita, magari più ordinarie, ma che sono poi la maggioranza, vengano ritenute degne di compiersi ed essere raccontate e che anche la loro narrazione cambi, emancipandosi dalla superficialità e dal paternalismo che ancora le caratterizza.

Giulia Reali di Occhioaimedia

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